Appunti di storia

Miti e leggende sull’origine di Tivoli e le sue divinità

Origini

Secondo un’antica leggenda, riportata anche da Catone, l’origine di Tivoli è fatta risalire a una colonia Greca guidata dall’arcade Catillo (arcadia, regione greca) e i suoi tre figli Tiburtus, Coras e Catillus (Tiburto, Corace e Catillo minore) che avrebbero scacciato i Siculi, primo nucleo abitativo dell’altopiano dell’Aniene.                                               Secondo Sextius (figura ignota)  i tre fratelli erano figli dell’argivo Catillo (da Argo, città greca) che venne in Italia dopo la morte di suo padre Anfiarao e che qui generò i tre fratelli. Il più grande dei tre impose il nome alla città, dopo averne cacciato i Siculi (depulsis ex oppido Siciliae veteribus Sicanis a nomine Tiburti fratris natu maximi urbem vocaverunt).  Il riferimento ad Anfiarao e ai suoi discendenti come fondatori argivi (Coras di Cora nel Lazio, Catillo in relazione con il monte sopra Tibur e  di Tiburto come fondatore della città Tibur)  legittima anche la figura di Albunea (Sibilla con i suoi oracoli) in quanto Anfiarao, figura mitologica di indovino greco di Argo che aveva ricevuto da Apollo il dono della preveggenza, aveva con sé molti oracoli.                                                                              Virgilio, nell’Eneide, esalta le gesta di Tiburtus, Coras e Catillus nella guerra contro Enea. Lo stesso Virgilio chiama Tibur Superbum  la città latina che, insieme a Turno, combatte contro Enea.                                                                                                                        Altra leggenda fa risalire il nome Tibur alla parola sabina Teba o Teiba (da cui Teibur e successivamente Tibur), che, secondo Varrone, significherebbe colle. Ancora oggi il nome colle è rimasto alla parte della città posta sopra i dirupi dell’Aniene. Gli storici moderni escludono questo riferimento al sabino o meglio al  preitalico per la derivazione incerta. Oggi gli storici sono arrivati alla conclusione che sicuramente Tivoli fu un antica colonia sicula (Dionigi di Alicarnasso 60a.C, storico che scrisse una storia di Roma dal titolo Archeologia romana) e che poi vennero dalla grecia  i tre mitici fratelli  che, insieme agli aborigeni, cacciarono i siculi. La successiva espansione del territorio avvenne con il contributo di popolazioni latine, sabine  e di gruppi provenienti dall’odierno Abruzzo.             L’anno di fondazione della città viene fatto risalire al 1215 ac ed il giorno dell’anniversario si  celebra il 5 Aprile. 

Divinità locali         

Al mito e alla leggenda di Tibur, con il fiume Aniene (anticamente il fiume si chiamava Parensius (Parenzio), il nome Aniene viene da Anio  antico re Etrusco morto tra i suoi gorghi) che l’ attraversa con la caduta a valle, ai  boschi,  ai dirupi e le molte sorgenti del suo territorio, sono legate due divinità mitologiche locali.                                                  Nelle culture antiche l’acqua e l’abbondante vegetazione avevano delle divinità protettrici; le ninfe, in genere, le rappresentavano ed erano, per questo, venerate.                          L’abbondante documentazione epigrafica del municipio di Tivoli ci fa conoscere la vita politico-economica e la multiforme religiosità rivolta a divinità tradizionali dello stato romano (Giove, Giunone, Vesta ecc.), ma anche a divinità locali Tiburno e Albunea.        In età tarda repubblicana, sullo sperone roccioso dell’acropoli Tiburtina, furono costruiti i due templi di travertino dedicati, molto probabilmente, all’eroe fondatore della città Tiburnus e a un’antica ninfa delle acque, Albunea, conosciuta come Sibilla Tiburtina o Albunea (la decima fra le sibille –Lattanzio, inst., 1, 6, 12).                 Entrambe le divinità erano venerate presso la cascata del fiume Aniene (praeceps Anio), dove si trovavano il bosco sacro di Tiburno (Tiburni lucus) e la casa risuonante di Albunea (domus Albuneae resonantis). Orazio (carm., 1, 7, 12-13) …quam domus Albunae resonantis/et praeceps Anio ac Tiburni lucus et uda/ mobilibus pomaria rivis “….ma gli echi del tempio di Albunea /la cascata dell’Aniene e il bosco di Tiburno, e i frutteti irrorati dal fluire dell’acqua.                                                                                             Virgilio, nel presentarci il re Latino che consulta l’oracolo del padre Fauno, scrive: “Va e interroga le divine voci provenienti dai boschi nell’alta Albunea, che essendo la maggiore delle selve risuona del crosciar del sacro fonte ed ombrosa esala fetidi vapori mefitici (adit lucosque sub alta consulit Albunea, memorum quae maxima sacro fonte sonat saevamque exhalat opaca mephitim” – Aen. VII, 84). Albunea è senza dubbio il nome di una fonte e della ninfa che la personificava, ma è anche esteso alla selva o bosco  (il luogo, secondo alcuni, è ancora incerto, ma la descrizione di Albunea, la selva, le esalazioni  solforose di alcune sorgenti termali, fanno riferimento, molto probabilmente a personaggi e luoghi del territorio tiburtino).                                                            Ambrosius Pompeius

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