Pubblichiamo con piacere una “riflessione” di Italo Carrarini, non tanto per l’amicizia che ci lega, ma per l’importanza dei temi trattati, tutti condivisi dalla nostra Associazione.
Terra Bene Comune e Sviluppo locale RIPARTIRE DALLA DIMENSIONE LOCALE CON I PIEDI A TERRA di Italo Carrarini
In Italia consumiamo più di quanto il suolo agricolo è in grado di produrre. A causa dell’accentuato processo di cementificazione il Paese vanta un deficit di suolo che riesce a coprire i consumi di poco più di tre italiani su quattro. È ora di invertire la rotta e guardare al localismo non come ad un fenomeno regressivo e chiuso, ma come al modo di un pensare ecologico, capace di sviluppare nuovi modelli culturali fondati sul limite e su ciò che lega l’uomo alla natura e al territorio. L’appello di Pierre Rabhi all’insurrezione e all’unione delle coscienze individuali per la natura e per le generazioni future.Ogni anno in Europa viene sacrificata una superficie più estesa della città di Berlino per far largo all’espansione urbana e alle infrastrutture. In Italia la perdita annua si attesta a circa 500 km² di superfici per lo più fertili che garantiscono rendite fondiarie solo se edificate. Stando alle statistiche – dopo Olanda, Belgio e Lussemburgo – siamo il quarto stato europeo fra i più impegnati in questa irrefrenabile corsa alla dissipazione di suolo e di biodiversità con un’edificazione che dal 1956 al 2012 è aumentata del 166%. Ciò è riconducibile al grande divario tra redditività dei terreni edificabili e agricoli, all’inadeguata regolamentazione urbanistica, e a politiche spesso disattente alla salvaguardia degli equilibri che legano l’uomo alla natura e al territorio. Tuttavia qualche provvedimento in controtendenza è stato adottato: in Germania, dal 1999, il consumo di suolo viene monitorato quotidianamente puntando alla quota zero per il 2050; nel Regno Unito, dal 2004, è consentito urbanizzare solo su aree dismesse per tutelare e incoraggiare l’agricoltura. Da noi piccoli segnali d’inversione, a contenimento del fenomeno, vengono dal d.d.l. ‘salva suolo’ varato il 14 settembre 2012. Un’iniziativa legislativa del Governo Monti che, nell’illustrarne i punti salienti, lo presentò come uno dei provvedimenti più importanti a garanzia degli equilibri tra terreni edificabili e agricoli. In quell’occasione l’ex premier ricordava come negli ultimi quarant’anni siano state cementificate ed impermeabilizzate superfici equivalenti a Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna, passando da 18 a meno di 13 milioni di ettari utili all’agricoltura. In un momento in cui la crisi del settore edilizio preme sempre più sulle Amministrazioni locali sprovviste di una chiara normativa di tutela, un altro segnale in tal senso viene dall’incontro tenutosi lo scorso 12 luglio a Milano proprio per superare differenze e ostacoli, per ricercare una comune strategia basata sui concetti di limitazione, mitigazione e compensazione, e pervenire ad una legge ampiamente condivisa. Nel frattempo proprio l’agricoltura, uno dei capisaldi trainanti e caratterizzanti della nostra identità produttiva e culturale è stata duramente penalizzata da questo irreversibile trend dai risvolti preoccupanti: primo fra tutti la dipendenza alimentare dall’estero, a seguire il triste ritorno delle alluvioni e delle inondazioni che rendono il pesantissimo conto di mezzo secolo di soil sealing. Danni che non discendono solo dall’abusivismo e dai successivi condoni, ma da precise volontà politiche che premiano l’industria edilizia a svantaggio della tutela dei terreni agricoli, del paesaggio e del turismo. Oltretutto la globalizzazione dei mercati ha notevolmente acuito il divario fra l’uomo e il suo contesto naturale rendendo planetaria la crisi ecologica sviluppatasi in Occidente. Un processo che, in nome della ‘salvaguardia degli interessi nazionali’, maschera la corsa dell’oligarchia finanziaria internazionale impegnata a disegnare un regime totalitario universale, ben rappresentato da quel multinazionalismo economico ‘usa e getta’, accentratore incontrastato di sviluppi fittizi e fuori natura, cui stanno improvvidamente aderendo i paesi delle nuove aree emergenti nel mondo. Fermarsi a riflettere è d’obbligo, specie oggi che è chiaro come le istanze ambientaliste siano state in gran parte veicolate e banalizzate da certe politiche e da certi settori produttivi attraverso le manipolazioni ideologiche e pubblicitarie dell’immaginario ecologico. Tuttavia, il combinarsi della crisi demografica, ambientale e finanziaria impone un riesame complessivo dei modelli di sviluppo fondati su quei principi di libertà dei mercati intesi come libertà di depredare, salinizzare e desertificare suoli fertili a bassi costi e con modalità di accaparramento delle risorse diventate insostenibili nella dimensione locale e globale. Come sosteneva Edward Goldsmith, uno dei padri fondatori del movimento ambientalista: “nessuna soluzione è accettabile nel lungo periodo se non affronta il problema alla radice”. Non a caso si sta sempre più rafforzando la centralità dell’agricoltura nelle convinzioni di chi invoca una ricomposizione culturale, sociale ed economica basata su valori naturali che guardino al futuro con maggiore ottimismo. Per questo, solo una decisa inversione di rotta potrà assicurare prospettive più degne alla Terra e all’Uomo prima che una ristrettissima èlite internazionale compia lo smantellamento degli stati sovrani e l’esproprio globale. È ora di passare dalle parole ai fatti con politiche di sostegno a favore di quanti vogliano cambiare paradigma e gettare le premesse per uno sviluppo ispirato al rispetto della natura e dei suoi cicli. Fuori da questo non potrà innescarsi sviluppo e benessere equo e solidale, anche perché ormai sappiamo che le spinte ai cambiamenti non potranno sortire dalle politiche dei progressismi vettoriali. Per tornare a percepire quel rapporto di corrispondenza elettiva della comunità con il mondo circostante e con le sfide globali, la riscoperta della dimensione locale è il passaggio obbligato, necessario a ricomporre le identità territoriali da trasmettere alle generazioni future. Conseguentemente, laddove le identità locali sono forti, vengono a rafforzarsi anche quei processi di conoscenza e di sussidarietà che valorizzano le diversità e le relazioni pacifiche. Occorrono nuove progettualità, nuovi stili e nuovi approcci alla vita che aiutino a reinventare il lavoro e a realizzare un nuovo umanesimo fondato sul ‘bene comune’, come peraltro auspicato dagli stessi movimenti sostenitori di un possibile ‘sviluppo in decrescita’. A veder bene le occasioni di riscatto non mancano, ma le sapremo cogliere? E come? In Italia le terre di proprietà collettiva (gestite da Università Agrarie, Amministrazioni Separate ed Enti esponenziali di diritti collettivi) ammontano ad oltre 3 milioni di ettari, coprendo il 10% circa del territorio agricolo e forestale. Costituiscono una importante risorsa per lo sviluppo rurale locale, spesso disgiunto dai territori a causa delle complessità normative che regolamentano il sistema istituzionale italiano strutturato su vari livelli di competenze. Un sistema obsoleto e farraginoso che necessita di collegamenti più snelli e di processi di sintesi per migliorarne il funzionamento e le capacità di dialogo, sia tra apparati istituzionali interni, che verso gli Stati membri. Propositive, quindi, le azioni intraprese da Regione Lazio e ARSIAL nel sostenere e promuovere iniziative per l’agricoltura sociale attraverso piani di Sviluppo Rurale per il 2007-2013 ed altre forme di accesso alle misure di sostegno previste dai nuovi indirizzi di politica comunitaria per il periodo di programmazione 2014-2020. Azioni che individuano nelle terre collettive l’ambito privilegiato di convergenze decisive ove elaborare nuovi processi di sviluppo, conservazione e valorizzazione delle aree a destinazione agro-silvo-pastorale. È pertanto auspicabile che anche da noi tali opportunità vengano recepite dagli enti preposti in favore di nuovi modelli organizzativi, capaci di realizzare percorsi occupazionali, socio-riabilitativi, educativi e di inclusione sociale. Nella premessa al suo ‘Manifesto per la Terra e per l’Uomo’, Pierre Rabhi – che è, e resta un contadino incantato dall’armonia della natura – rivolge così il suo tributo alla grandezza che possono ancora esprimere i contadini attraverso l’agroecologia: “Oggi sono convinto che la sopravvivenza della specie umana non potrà prescindere dall’integrazione di due nozioni fondamentali: il rispetto per la terra, come pianeta al quale dobbiamo la vita e dal quale non possiamo dissociarci (…), e l’avvento di un umanesimo planetario, l’unica prospettiva in grado di dare un senso alla storia dell’umanità in quanto fenomeno”. E nel riferirsi proprio alla terra e alla fondazione di un nuovo umanesimo scrive: “Noi riconosciamo nella terra, bene comune dell’umanità, l’unica garante della nostra vita e della nostra sopravvivenza. Ci impegniamo in coscienza, dietro ispirazione di un umanesimo attivo, a contribuire al rispetto di ogni forma di vita e al benessere e alla realizzazione di ogni essere umano. Infine, consideriamo la bellezza, la sobrietà, l’equità, la gratitudine, la compassione, la solidarietà dei valori indispensabili alla costruzione di un mondo vitale e vivibile per tutti”. Sottolinea, inoltre, come “… il modello dominante attuale non sia ridefinibile e che sia indispensabile un cambiamento di paradigma. È urgente porre l’Uomo e la Natura al centro delle nostre preoccupazioni e mettere tutti i nostri mezzi e le nostre competenze al loro servizio”. Per lui “… produrre e consumare localmente si impone come una necessità assoluta per la sicurezza delle popolazioni relativamente ai loro bisogni elementari e legittimi. Senza fermarsi agli scambi complementari, i territori diventerebbero allora culle autonome che valorizzerebbero le risorse locali prendendosene cura. Agricoltura a misura d’uomo, artigianato, piccolo commercio… dovrebbero essere riabilitati in modo che più cittadini possibile possano tornare a essere attori dell’economia”. Coltivare un orto, quando è possibile, diventa per Rabhi oltre che un’attività alimentare un atto legittimo di resistenza a logiche di monopolio fondate su criteri strettamente lucrativi e aleatori. E allora, potranno l’amore, la bellezza e l’impegno profusi da pochi uomini di buon senso salvare il mondo ripartendo da una dimensione locale aperta al multiculturalismo? Varie iniziative intraprese sul nostro territorio confermano che sensibilità e propositi non mancano, e che gruppi associati o spontanei si stanno organizzando un po’ ovunque, anche sulla scia di istanze mosse da quei movimenti protagonisti dell’attuale scena politica, evocatori di un radicale cambiamento di rotta. Non resta che rivolgerci un augurio, affinché le battaglie e le aspirazioni più volte enunciate dai fautori del ‘bene comune’ si aprano al confronto con le nuove ed incerte scommesse globali, ripartendo ‘con i piedi a terra’, e nella direzione delle straordinarie opportunità indicate dalla dimensione locale all’abitante del luogo.
Titoli Immagini: 1. Salviamo il paesaggio 2. Pierre Rabhi 3. Manifesto per la Terra e per l’Uomo 4. Agricoltura, una reale opportunità non solo per i giovani 5. Censimento del cemento