A tavola con i romani, Appunti di storia

Apicio e il DE RE COQUINARIA

La nostra conoscenza della cultura gastronomica romana si basa principalmente su due testi: “De agri cultura liber” di Marco Porcio Catone per quanto riguarda il “buon tempo antico”, e “De re coquinaria” di Apicio per la cucina del periodo imperiale.       Marcus Porcius Cato soprannominato “il Censore” (234 a.C.149 a.C.) era un politico, generale e scrittore romano.                    Marcus Gavius Apicius (I sec. d.C.) era un ricco romano, amante della bella vita e della buona tavola tanto da essere un cuoco dilettante di altissimo livello, che frequentava i circoli più esclusivi di Roma, organizzava banchetti sontuosissimi ed inventava pietanze stravaganti che cucinava di persona. Sembra che sia sua l’idea di ingozzare le oche con i fichi, per ingrossarne il fegato creando i primi esempi di “foie gras” (la stessa parola italiana “fegato” deriva proprio da ficatum), e che a lui si debba la ricetta dell’omelette (patina apiciana). Seneca, il grande filosofo suo contemporaneo, ci informa di come morì: dopo aver sperperato in pranzi cento milioni di sesterzi, calcolando che del suo patrimonio gli restavano solo dieci milioni di sesterzi (qualcosa come 10 miliardi di lire) e che con quella cifra avrebbe “fatto la fame”, si suicidò avvelenandosi.                                                                                                  Il De re coquinaria è una raccolta di circa 450 ricette, probabilmente rielaborata dopo la morte dell’autore. Alcune di queste ricette sono estremamente schematiche, in quanto riportano solo l’elenco degli ingredienti, altre invece risultano più dettagliate nella descrizione delle varie fasi della preparazione; in generale però mancano le indicazioni sulle dosi… e questo rende piuttosto difficile tentare di realizzarle al giorno d’oggi.   Dall’opera emerge un uso esagerato di spezie ed erbe dal gusto forte (alcune indigene, mentre altre importate a caro prezzo dall’Oriente): si usano molto frequentemente il pepe, sia in grani che in polvere, e poi cumino, finocchio, aglio, cipolla, ruta e prezzemolo, ma anche aneto, coriandolo…Una caratteristica pressoché costante di queste ricette è inoltre l’uso del garum, la famosa e “famigerata” salsa di pesce di cui Apicio era appassionato e che preparava lui stesso in molte varietà, tutte con delle sfumature diverse dovute ai diversi ingredienti utilizzati. Per gustare il garum non era però necessario farselo “in casa”… infatti era prodotto un po’ ovunque nel mondo Latino, e il più rinomato era quello proveniente dalle coste spagnole. Esistevano organizzazioni che lo producevano in quantità “industriale” e il suo prezzo poteva raggiungere, a seconda della qualità, cifre molto elevate: c’era infatti un garum di prima scelta per i ricchi, mentre il popolino si doveva accontentare di prodotti più scadenti, magari allungati con acqua o macerati in modo più affrettato. L’arte di Apicio consisteva inoltre nello stupire i commensali cambiando il sapore e spesso anche l’aspetto delle pietanze, per esempio dando ad un quarto di maiale l’aspetto di un volatile oppure a mammelle di scrofa (piatto prelibatissimo…) quello di un ragù di pesce. Era inoltre portata all’eccesso la ricerca di vivande esotiche e costose, basta pensare al “salmì di lingue d’usignolo”.          Ambrosius Pompeius

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